UN IPOTETICO CORSO

Dianita, Claire Frachebourg, Alex Ghandour, Petra Köhle/Nicolas Vermot-Petit-Outhenin, Lucia Masu, Michèle Rochat
curated by Federica Martini


11.12.21 / 22.01.22


INAUGURAZIONE: sabato 11 dicembre 2021, 18.30

Artisti: Dianita, Claire Frachebourg, Alex Ghandour, Petra Köhle/Nicolas Vermot-Petit-Outhenin, Lucia Masu, Michèle Rochat

A cura di: Federica Martini

Una proposta dell’EDHEA – Ecole de design et haute école d’art du Valais (Svizzera), in collaborazione con lIstituto Svizzero di Roma

“Scriverò questo rapporto come si racconta una storia.”

– Ursula K Le Guin

Un ipotetico corso parte da una lettura collettiva e libera del racconto breve Another Story, or a Fisherman of the Inland Sea (1994) della scrittrice statunitense Ursula K Le Guin. Abbandonata la ricerca scientifica, la voce narrante invia a se stessa un rapporto dove la storia di un mondo scomparso si giustappone alle sperimentazioni del protagonista sulla transilienza, processo che indica radicali e improvvisi cambiamenti storici, mutazioni geologiche e impermanenza.

Nel racconto di Le Guin, la ricerca di un tempo sospeso, senza intervalli, si lega alla leggenda del pescatore Urashima, che attraversa le acque e le epoche. Di ritorno sulla nazione Terra, Urashima scopre che il suo viaggio non è durato qualche ora ma secoli; il paesaggio che lo attende è desolato, i campi sono infestati da erbe. La vicenda di Urashima prelude alla storia di una comunità in via di ricostruzione dopo l’abbandono forzato della nazione Terra. Il racconto registra la ricerca di nuove forme di socialità e la difficoltà a risolvere in modo collettivo e univoco le tensioni fra scienza e credenza, saperi formali e informali.

Un ipotetico corso si inserisce nella breccia narrativa aperta da Le Guin e aderisce all’ipotesi di un viaggio dalla temporalità circolare dove passato, presente ed evento potenziale si intrecciano in modo organico e orizzontale. “Laddove le parole dovessero mancare di precisione, scrive Le Guin, la sintassi potrebbe trasportarci su un altro pianeta e poi riportarci a casa in un attimo”. In linea con i metodi del thought-experiment propri alle narrazioni speculative, le opere in mostra osservano e ascoltano le dinamiche di resilienza comunitaria che seguono cesure storiche nette, documentano deviazioni dai corsi narrativi principali e prospettano nuovi territori fisici e concettuali. Lo spazio di In Situ è quindi inteso come una scena aperta dove interventi site-specific, video, fotografie ed edizioni evocano corrispondenze interrotte, scenari post-industriali e mondi sommersi.

La mostra si apre con il video Brainstorm (2021) di Lucia Masu, che affronta i processi di frammentazione e riparazione propri alla dimensione familiare e collettiva della malattia mentale. Nel video l’acqua ricopre una funzione di archivio della memoria ed elemento unificante che collega ed evoca le genealogie umane e non umane alle quali apparteniamo.

O (2021) di Claire Frachebourg si infiltra nel soffitto dello spazio espositivo secondo una geometria variabile e aleatoria determinata dai movimenti di una serie di palloni color pelle gonfiati all’elio.

L’installazione video Through the Rim (2021) è un rapporto narrativo a tre voci di Dianita, Claire Frachebourg e Alex Ghandour che traccia le esperienze individuali di un viaggio comune attraverso i paesaggi lunari e industriali di un sito alpino. Il lavoro si articola in tre variazioni video a partire da uno stesso corpus di immagini e si estende nell’installazione sonora 42’65325836,25152417 (2021) del duo Rêve Jaune (Dianita e Claire Frachebourg), che gioca sul registro della casualità e di “temporalità che si piegano, si toccano e si distanziano”. A materializzare il processo collettivo interviene anche la fanzine Through the Rim (2021) di Dianita,che assembla in un’edizione limitata appunti di lettura, testi e immagini a partire da Another Story di Le Guin e dalle note di viaggio al centro dell’omonima installazione video.

Visqueux, chiffonné et turbulent (2021) di Alex Ghandour è un “miraggio topologico composto di due bassorilievi dall’aspetto organico”, dalla morfologia incerta fra l’ostacolo e il passaggio che fa eco agli scenari di sparizione e cancellazione postindustriali evocati dalla fotografia Gases for life (2021). La tensione fra organico e inorganico dà forma anche agli elementi in ceramica smaltata di Michèle Rochat, riuniti in un’installazione che allude alla dimensione costruita del paesaggio naturale.

Le potenzialità insite nei punti ciechi degli archivi della Società delle Nazioni, oggi ONU, è al centro di It remains to be seen if […] and if it will be (2021) di Petra Köhle & Nicolas Vermot-Petit-Outhenin. Un video-saggio e un’installazione tessile alludono alla copresenza di trasparenza e opacità nell’esperienza singolare del Palazzo delle Nazioni di Ginevra, monumentale cantiere ultimato nel 1938, il cui arredo (opere d’arte, mobili, materiali da rivestimento…) sarà in parte affidato agli eclettici doni diplomatici degli Stati membri. Nel lavoro di Köhle & Nicolas Vermot-Petit-Outhenin gli arredi del Palazzo delle Nazioni e l’insieme dei doni accettati e rifiutati, testimoniano tanto la perizia artistica e industriale dei Paesi donatori quanto le insolubili conflittualità estetiche e politiche implicite nelle dinamiche internazionali.

La mostra Un ipotetico corso sarà inoltre l’occasione per il lancio del n. 2 del Blackout Magazine (2021), una pubblicazione dell’EDHEA nata da un progetto editoriale di Federica Martini e Christof Nüssli.

Spazio In Situ
Via San Biagio Platani 7
METRO C > FONTANA CANDIDA/DUE LEONI

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