IPERSITU

Spazio In Situ
curated by Daniela Cotimbo


30.10.21 / 28.11.21

IPERSITU

inaugurazione il 30 ottobre Spazio In Situ dalle 18:30
dal 31 ottobre al 28 novembre 2021
dalle 11:00 alle 20:00 (su appuntamento)
Via San Biagio Platani 7A cura di: DANIELA COTIMBO

Artisti:
SVEVA ANGELETTI // ALESSANDRA CECCHINI // CHRISTOPHE CONSTANTIN // FRANCESCA CORNACCHINI // MARCO DE ROSA // FEDERICA DI PIETRANTONIO // CHIARA FANTACCIONE // ROBERTA FOLLIERO // ANDREA FROSOLINI // DANIELE SCIACCA // GUENDALINA URBANI

foto di Marco De Rosa


“In un iper-luogo ogni individuo incontra il mondo. Sperimenta l’esperienza intensa di condividere temporaneamente uno spazio di affinità con persone provenienti da tutto il pianeta. Una moltitudine di flussi, energie, forze e destini li attraversa ogni giorno. Vi si incrociano le linee di vita di coloro che li abitano, sia di passaggio che per lavoro o per viverci.” Michel Lussault

Ipersitu nasce con l’intento di investigare lo spazio d’artista come un iperluogo, flusso incessante di scambi tra fisico, cognitivo e digitale in relazione alla pratica artistica.
Nell’attuale era post pandemica, tale pratica ha subito radicali cambiamenti, dovendo far i conti non solo con la mancanza di risorse e con l’impossibilità di preservare i propri rituali in termini di presenza e relazioni ma anche con l’intensificarsi dell’utilizzo dei media digitali come luoghi di aggregazione e significazione.
Tutto questo ha coinciso con una totale mancanza di riconoscimento istituzionale e con il rischio per gli artisti di essere relegati alla dimensione dell’invisibilità.
Proprio lo studio, in questo senso, ha rappresentato una forma di resistenza, preservando non solo il suo ruolo di luogo deputato alla ricerca ma aprendosi anche all’attività espositiva e di accoglienza, confermando così la sua valenza sociale e culturale.
In occasione del quinto anniversario di Spazio in Situ, gli undici artisti che ne fanno parte sono chiamati ad interrogarsi sul ruolo intermediale dell’artist-run space, crocevia di esperienze interconnesse.
Tale indagine passa inevitabilmente da una rivisitazione dello spazio: l’area normalmente deputata all’esposizione diventa un ipertesto, collegando il “dentro” delimitato dalle pareti bianche con un “altrove” che assume forme mutevoli, spesso filtrate dallo sguardo tecnologico; gli studi invece si aprono temporaneamente alla dimensione espositiva, trasformandosi in display, luoghi di autorappresentazione della pratica stessa.
Attraverso lo sguardo sullo spazio del fare, gli artisti indagano anche quel complesso sistema di legami che intercorre tra di loro e che spesso si sostanzia in una identità collettiva, così come il ruolo dell’osservatore nella costruzione dell’opera stessa.
L’iperluogo artistico diviene un territorio di risignificazione in grado di contenere la complessità del presente e di generare nuove forme di convivenza.

1. Sveva Angeletti

Display: Scontorno a 2Є, videoproiezione, 00.03.00 min.

L’opera racconta come l’artista emergente sia spesso portato a svolgere lavori saltuari e prestazioni occasionali pur di garantirsi un sostentamento. Angeletti ha lavorato per due anni nell’ambito della postproduzione fotografica con l’obiettivo di ingentilire immagini di opere d’arte altrui, pronte per il secondo mercato, quello delle case d’asta. Il ruolo dello “scontornatore” è paragonabile a quello dell’operaio, che ripete gli stessi comandi in modo compulsivo. Ogni volta che questa operazione viene messa in campo, il contesto significante cambia. Scontorno a 2Є mette in evidenza la natura instabile di ciò che guardiano in un’era in cui ogni cosa è soggetta alla postproduzione. Il luogo diventa qui un campo aperto, su cui è possibile intervenire attraverso un gioco di alternanza tra contenuto e contenitore.

Studio: Studio Visit, installazione sonora, 16.07.00 min e QR.

L’opera riflette sulla dinamica della studio visit, modalità di fruizione privata dell’opera d’arte all’interno dello spazio intimo di produzione dell’artista. L’impostazione lessicale particolarmente ironica, se da un lato dissacra il concetto dell’atelier contestualizzandolo nella realtà di uno studio professionale, dall’altro riflette sulla modalità sociale di costante corteggiamento da parte degli artisti verso un sistema dell’arte composto da galleristi, curatori, mercanti e collezionisti. Laddove queste personalità non trovano il tempo di andare a fare uno studio visit, lo studio visit diventa portatile: da qui la configurazione formale in un lavoro audio trasportabile e ascoltabile comodamente in cuffia.

2. Alessandra Cecchini

Display: Playing with the idea of a city, 2021, installazione multimediale, dimensioni variabili (durata video 01:30:00 min circa).

L’installazione, composta da due vecchi monitor e da materiale edile, mostra i due video di una partita a Age of Empires II, un videogioco strategico (Ensemble Studios, Microsoft Corporation 1999), giocata tra l’artista e suo fratello. Il basamento su cui poggia l’installazione riporta su un altro piano la narrazione in atto nel video: ogni evoluzione all’interno del gioco è infatti caratterizzata dal cambiamento dei materiali utilizzati e delle tecniche di costruzione. Obiettivo del gioco è quello di costruire intere città fatte di edifici militari e civili e sconfiggere le popolazioni nemiche. Dietro questa struttura apparentemente semplice, sono nascosti diversi riferimenti storici e alcuni elementi come per esempio le mura, l’università, il santuario che soggiacciono all’idea stessa di città e alla sua sopravvivenza. Il gioco evoca anche le potenzialità di armi invisibili come la fede e la conoscenza. Tenendo presenti tutti questi elementi, viene messa in atto una partita destinata al fallimento in cui l’artista difende la propria città ideale senza mai attaccare, sovvertendo così il principio di sopraffazione alla base del gioco stesso.

Studio: Archive for an ideal city, 2021, intervento site-specific per Ipersitu, misure ambientali.

In Archive for an ideal city, Cecchini mette in mostra la sua ricerca sulla città ideale che ha come punto di partenza il concetto stesso di città sviluppatosi nel corso dei secoli attraverso narrazioni contraddittorie e imprevedibili. Punto di partenza di questa esplorazione è sicuramente La Sforzinda, città ideale mai realizzata narrata da Filarete nel suo Trattato dell’Architettura (1460 ca.) e accompagnata da una serie di illustrazione che ne documentano il progetto. A questo riferimento ne fa eco uno contemporaneo, citato da James Bridle in Nuova Era Oscura (Nero Editions, 2019) che riguarda Veles, città della Macedonia, divenuta dal 2016 centro propulsore di fake news. L’operazione deliberatamente congeniata al fine di restituire un’identità ad un luogo a cui era stata sottratta dalla storia appare un interessante tentativo immaginativo filtrato dallo sguardo tecnologico odierno e dai social media. Attraverso questo progetto l’artista pone luce su quelle forme ricorrenti che ruotano intorno al concetto di città, evidenziando il loro significato simbolico e lo stratificarsi nel tempo.

3. Christophe Constantin

Display: Attraverso lo schermo, 2021, cornice in legno, LED, alluminio, plastica, pvc, 147×127 cm.

Una cornice luminosa modifica l’apparenza di una finestra, trasformandola in un simulacro dello schermo. L’opera interroga il confine tra arte e realtà, tra realtà e virtuale e tra arte e virtuale, sottolineandone le interazioni e contaminazioni. Il riferimento evidente al monocromo blu, simbolo di una pittura che si libera dall’urgenza della rappresentazione, diventa a sua volta un codice stratificato che mette in connessione il dentro dello spazio espositivo con il fuori della strada, ma anche con tutto ciò che è un altrove iperconnesso.

Studio: Aria di lavoro, 2021, tombino, smalto su ghisa, 18x130x115 cm.

Per Constantin, lo studio d’artista è una zona in cui portare avanti la propria ricerca, in cui il lavoro prende forma e la presenza dello spettatore non è prevista. Il suo ruolo, comincia quando l’opera è in mostra. La pratica voyerista di visitare lo studio d’artista è spesso assecondata dagli artisti che letteralmente “allestiscono” il proprio studio ai fini della fruizione. Questa posizione “fuori luogo” dello spettatore è goliardicamente associata al gesto effimero di fissare un tombino. Al tempo stesso, l’oggetto sembra alludere ancora una volta ad una dimensione di riappropriazione estetica nonché ad una via di fuga, strategicamente ideata per permettere all’artista di congedarsi dal suo pubblico.

4. Francesca Cornacchini

Display: S4N S3B4 CH4LL4NG3<3 #1, 2021, video, 00:10:00 min circa.

Vuk Cosic nel 1997 affermava “L’arte era solo un sostituto di Internet”. In particolare l’opera di Francesca Cornacchini allude alle internet challanges, anello di congiunzione tra performance art, i programmi tv basati sul superamento di prove ridicole o pericolose e la partecipazione a rituali collettivi. La performance si fa debole vittima della fruizione involontaria di Youtube o Tik ToK, in un’epoca in cui il corpo viene messo costantemente alla prova tra fail, challanges, dirette e filtri fotografici. Francesca Cornacchini parte dalla cultura underground, come congegno per navigare contromano nel deep web dell’arte contemporanea. Con S4N S3B4 CH4LL4NG3<3 l’artista sovrascrive dati ed icone, informazioni ed estetiche differenti mettendo in scena una sorta di nuovo martirio che sa di club, di squat e sovrapponendo l’iconografia cristiana a immagini caotiche e casuali, violente e underground. Il risultato è un video in cui si tatua casualmente il costato riproducendo il gesto del martirio del San Sebastiano.

Studio: S4N S3B4 CH4LL4NG3<3 #2, 2021, installazione ambientale.

Questo video trasmesso nello spazio espositivo ha un diretto rimando nello studio dove è esposto l’intero set in cui si è svolta l’azione.

Ogni elemento rimanda al momento stesso della performance; questa volta sono gli utensili e i suoni che l’hanno accompagnata a proiettarci in una dimensione temporale estranea in cui i segni emergono là dove la presenza è sottratta. L’opera mette in discussione concetti come il luogo, che risultata frammentario e traslato, il corpo che si autodetermina nella pratica del tatuaggio e soprattutto il tempo, che sfugge all’esperienza diretta e si fa rappresentazione: un tempo inteso come un susseguirsi di “adesso” scanditi solo dalla stratificazione di simboli e blocchi di dati.

5. Marco De Rosa

Display: Binge shoping, video, 00.06.00 mim.

Il progetto indaga lo spazio espositivo come display della pratica artistica, facendo emergere tutto ciò che si cela dietro le quinte di un lavoro. Nel video viene registrato l’intero processo di reperimento dell’asta che sospende il monitor esposto e che parte dalla scelta, si materializza nell’acquisto, fino a giungere al montaggio dell’opera. In questo percorso, che passa attraverso piattaforme ditali quali Amazon, diverse spazialità e temporalità si interconnettono, dando vita ad un’esperienza ibrida, all’interno della quale l’opera assume il suo status discostandosi dalla mera oggettualità.

Studio: Vetrina in allestimento, 2021 installazione site specific, dimensioni ambientali.

Anche nel caso di Marco De Rosa, il momento della produzione è un’esperienza intima in cui non necessariamente il pubblico è chiamato a prender parte. Vetrina in allestimento gioca sul confine del voyerismo, amplificando il senso dell’attesa per qualcosa che sta per essere messo in mostra ma privando il pubblico della possibilità di accesso allo spazio. Una copertura in plastica semi-opaca, simile a quella usata nei cantieri, impedisce di vedere cosa effettivamente avviene nello studio. Qui, come in molte sue opere, De Rosa utilizza il linguaggio mutuato dalla strada per soffermarsi sul contesto che permette all’opera di materializzarsi in quanto tale, attraverso lo sguardo incuriosito del suo pubblico.

6. Federica Di Pietrantonio

Display: does it makes u feel alive (tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua), 2021, machinima video from GTA Vice City, video, color, sound, 15:00:00 min.

does it makes u feel alive è un gesto disperatamente ripetuto che fa eco a il tentativo di far formare dei quadrati invece che dei cerchi intorno a un sasso che cade nell’acqua (1969), performance di Gino De Dominicis basata sull’impossibilità di eseguire un’azione ottenendo uno specifico risultato. L’innata propensione umana al trovare un’alternativa alle leggi fisiche che governano il mondo concreto, trova analogia nelle dinamiche che abitano l’ambiente virtuale.

Il video, girato su GTA Vice City, mostra un’azione impossibile: nuotare nell’acqua. Quest’azione, connaturata all’istinto umano, non è inclusa come “feature” all’interno del videogioco, il solo tentativo di entrare in acqua ed immergersi causa la morte. Questo tentativo tanto utopico quanto fallimentare ha dato vita a vari trend su youtube creando un rimando diretto con la performance artistica degli anni Settanta.

Riferendosi allo stadio dello specchio descritto da Lacan, possiamo leggere questo gesto da un lato, con un tentativo disperato di cercare sé stessi nell’altro e dall’altro come la possibilità per un alter ego tecnologico di incarnare comportamenti umani quali l’errore, il fallimento e l’apprendimento.

Studio: why is lasting better than burning, 2021, installazione multimendiale.

Con why is lasting better than burning, Di Pietrantonio porta avanti uno dei temi della sua ricerca attuale, legato al confine tra identità e replicabilità mediale. In questo caso, una voce sintentica, generata tramite una intelligenza artificiale, riproduce le vocalità dell’artista mentre legge un testo da lei composto, frutto di una ricerca all’interno dei libri che hanno segnato il suo percorso educativo dall’adolescenza ad oggi. L’artista ha selezionato i libri e copiato le vecchie sottolineature riassemblando tutti i pezzi e cercando di trovare un nuovo significato. Da una parte c’è quindi un tentativo di riappropriazione del sé, dall’altra invece, attraverso l’utilizzo della voce clonata in IA, c’è un’attitudine alla privazione, spersonalizzazione e strumentalizzazione della propria identità.

7. Chiara Fantaccione

Display: En plein air, 2021, installazione (ipad, video da live webcam online, mensola, supporti), 190x40x26 cm.

​​Nell’opera En plein air un paesaggio fittizio nasce dall’accostamento di più dispositivi che riproducono in tempo reale video in streaming di webcam liberamente consultabili online, poste in luoghi difficilmente accessibili e degni di interesse paesaggistico, stimolando un interrogativo riguardante la veridicità di ciò che si sta osservando e una riflessione sull’azione voyeuristica messa in atto nei confronti dell’ambiente. Le immagini perdono la funzione di monitoraggio per assumere una propria identità e un’estetica che ce le fa apparire meno estranee. Questo paesaggio immaginario ci pone antropologicamente dalla parte di chi lo osserva, quella di un moderno Friedrich che contempla la potenza della natura, senza immergervisi con il proprio corpo. Dall’altro lato, l’esistenza di archivi di webcam online dedicate interamente al paesaggio, porta alla mente lo sforzo di tanta pittura impressionista di fermare l’attimo, superato dalla capacità del “tutto e subito” (e per sempre) delle immagini contemporanee.

Studio: Romantic base camp 2021, installazione (tenda da campeggio, tappeto, sunset lamp, fiori stabilizzati ed essiccati, cemento), 200x200x160 cm.

La struttura della tenda delimita uno spazio di separazione dall’esterno, ma esiste soprattutto in funzione di esso, ponendosi in una posizione di rispetto. Questo tipo di relazione è quella che esiste abitualmente anche tra lo spazio espositivo e l’opera site specific che lo abita. La tenda diventa quindi contenuto dell’ambiente e contenitore di paesaggi effimeri, come il tappeto verde prato e la “sunset lamp”, oggetti acquistabili online per soddisfare la necessità di emulazione e di rappresentazione. Il termine romantico è qui utilizzato con una doppia accezione, quella inerente alla sfera del cliché sentimentale come nel caso del tramonto, dei fiori, della camera per due, ma anche quella che allude allo spirito del Romanticismo e alla volontà di dominare la natura, possederla, anche attraverso simulacri kitsch. Il gap tra esperienza diretta e indiretta è colmato solo dalla rappresentazione, che sembra essere l’unica via aderenza al reale.

8. Roberta Folliero

Display: Picture this, 2021, installazione, materiali vari.

Il lavoro consiste in una serie di carrelli di metallo su cui sono posizionate delle piante e vari attrezzi che servono per garantirgli le dovute cure. Le piante scelte hanno necessità differenti, dalla luce, all’acqua, all’utilizzo di specifici nutrienti fino al rinvaso. Su ognuna sarà inserito un piccolo cartellino con un QR code che rimanda ad una delle più cumuni app che identificano la tipologia di pianta e suggeriscono le adeguate cure. L’idea è quella che il pubblico della mostra possa dedicarsi direttamente a queste pratiche, modificandone la posizione e interagendo con gli strumenti a disposizione. In questo modo il progetto dialoga con lo spazio espositivo e con gli stimoli provenienti dall’esterno. I carrelli rappresentano quindi dei connettori mobili, in grado di mettere in relazione, interno ed esterno rispondendo alle necessità dell’opera stessa.

Studio: Moving home, 2021, installazione, scatoli e materiali vari.

Il lavoro consiste nell’impacchettare gli oggetti personali dei componenti dello studio rimossi in funzione delle necessità della mostra e nel collocarli all’interno dello studio dell’artista. In questo modo Folliero mette in scena le dinamiche di un vero e proprio trasloco che consistono nel prendersi cura degli oggetti e della loro fragilità, nell’etichettarli e nel collocarli all’interno dello spazio che perde la sua funzione di luogo di lavoro e ricerca per divenire magazzino di stoccaggio. Lo studio accessibile unicamente attraverso la finestra dialoga con lo spazio espositivo, ancora una volta sovvertendo le leggi confortevoli del white cube.

9. Andrea Frosolini

Display: Bunny is a Rider, 2021, installazione (iPhone e audio) e performarce.

Bunny is a Rider è la narrazione finzionale di un blind-date (appuntamento al buio). I rider, branca della subcultura leather/bdsm, sono uomini (spesso omosessuali) con un forte feticismo per l’abbigliamento tecnico da motociclismo.

L’identità del soggetto rimane celata durante l’intero incontro, il volto non viene mai scoperto e si prediligono pratiche sessuali come il petting, che esaltano tramite lo sfregamento la sensazione con la superficie in pelle che separa i corpi.

L’assenza di identità dei soggetti esalta l’imprevedibilità dell’incontro, creando una situazione potenzialmente ideale. Il rider diventa una blank-canvas su cui riversare la propria definizione ideale di sé. Una maschera ci consente di mostrarci per quello che vorremmo essere, un avatar potenzialmente perfetto del proprio io.

La performance vede due rider, perfetti sconosciuti nella vita, incontrarsi all’interno dell’atelier. L’ambiente è il risultato di una scenografia appositamente congeniata, frutto della conversazione privata dell’artista con i singoli performer che scelgono lo sfondo ideale di questo incontro, un parco berlinese, e gli oggetti che compongono il set.

L’azione mette in risalto il paradosso dell’inversione dei ruoli, mentre tutto è maschera e finzione, lo spettatore è senza veli, costretto a mostrare il suo voyerismo.

Nello spazio espositivo, un iPhone è dimenticato a caricare sul davanzale della finestra.

La cover in pelo con orecchie richiama il titolo della performance che nel frattempo si svolge nell’atelier. La privacy dell’artista è costantemente messa in discussione dalla ricezione di notifiche provenienti dall’app di incontri Grindr attiva sul suo cellularee.

Lo speaker accentua l’audio delle notifiche, segnalando l’arrivo di ogni nuovo messaggio. Il pubblico non ha accesso al contenuto di questi messaggi, ne può valutare solo la quantità e la frequenza. Ancora una volta Frosolini gioca con gli elementi del privato per mettere in luce la natura voyeristica del pubblico, al contempo interroga un altrove fatto di relazioni mediali, frutto delle possibilità offerte dalle piattaforme di social networking.

10. Daniele Sciacca

Display e studio: No stress #1, 2021, QR, collegamento streaming e performance.

Il progetto No stress nasce dall’ angoscia che l’artista vive nel dover mettere in “mostra” il proprio spazio privato e dal desiderio di voler celare il dietro le quinte del proprio lavoro inteso come una confort zone, dove poter sperimentare, sbagliare e riprovare. Se lo spazio espositivo raffigura il palcoscenico per l’artista che si mette in mostra, lo studio rappresenta il dietro le quinte, accessibile solamente agli addetti ai lavori. Lo studio visit ribalta questo principio consentendo al pubblico di spiare ciò che sta dietro all’opera stessa. Il gesto performativo di Sciacca consiste nell’assoldare un’impresa di pulizie che ordini e pulisca lo studio così da poterlo rendere presentabile. L’azione verrà costantemente ripresa su un canale Twitch e sarà fruibile anche all’interno dello spazio espositivo principale, rimarcando quest’attitudine alla spettacolarizzazione dell’arte e dell’artista da parte del pubblico ma anche creando nuove forme di connessione spaziale mediate dallo sguardo tecnologico.

11. Guendalina Urbani

Display e studio: Pastelli, 2021, fotografia macro 31 x 21 x 2,8 cm e installazione.

Una fotografia ritrae un oggetto comune, un vasetto contenente dei pastelli a cera, con questo lavoro Urbani mette in discussione la nostra capacità di guardare, filtrata dalle immagini patinate a cui l’estetica pubblicitaria e del web costantemente ci sottopone.

Nello studio lo stesso soggetto si rivela per quel che realmente è, sovvertendo le leggi dello spazio e costringendoci ad affinare lo sguardo. I due interventi connettono lo spazio, quello fisico con quello della rappresentazione.

Spazio In Situ
Via San Biagio Platani 7
METRO C > FONTANA CANDIDA/DUE LEONI

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